sabato 10 settembre 2016


PROLOGO


I poeti non hanno bisogno di viaggiare, conoscono spazi infiniti, volgono il loro sguardo su distese dove non giunge nemmeno l’occhio insolente dei nuovi sistemi satellitari, perché la visione d’insieme  di  un poeta, il suo radar intellettuale è in grado di opporsi  a chi crede - e sono in molti, purtroppo - di  poter trasformare l’esistenza vera in realtà virtuale, costruita sulla totale finzione. 
Certo - per dirla con Pessoa-  anche i poeti sono dei fingitori, non perché falsi o ipocriti, ma perché necessariamente avversi alla cosiddetta realtà. Un poeta vero, infatti,  non può che opporsi allo status quo. 
La Poesia dà valore alla vita, la scandaglia a suo modo, rappresentando una delle cime più alte del pensiero umano. Un poeta non vive in un preciso luogo spirituale: scruta, s’immerge negli abissi marini alla ricerca di luce, riemerge per dare conto delle sue visioni, del suo sguardo sul mondo. 
E tuttavia - ciò non è una contraddizione - ha bisogno di ancorarsi fisicamente a un luogo fisico, trasformarlo in finestra sul mondo. Il luogo può essere quello natio dove egli sarà testimone di mutamenti radicali e dal quale - a un prezzo altissimo -, potrà intraprendere la sua azione intellettuale, oppure porsi su altri lidi alla ricerca di un’altra dimensione, considerata-  a torto o a ragione, cosmopolita. 



VINCENZO   STRANIERI








PENSAVAMO
FOSSE ARRIVATO
IL NOSTRO TEMPO




(Pensavamo fosse arrivato il nostro tempo,
la nostra fetta di vita.

Ma siamo ritornati nei nostri buchi,
profondi, neri come la morte).



                                                ( testo poetico)





                                        


                                              L’AVAMPOSTO   (1986)






Mi accade di entrare in una stanza dove c’è
gente che scherza, ride e d’istinto assumo il
ruolo dell’istrione.
Finita la festa, me ne vado pensando che
dietro il pagliaccio  davvero s’annida
l’ombra del dramma.
                            (Vincenzo Stranieri)



Ai miei genitori

1
Per viver abbiamo rubato il nettare
alle api, cospargendo di acre dolcezza
le nostre menti stanche.

Pensavamo fosse arrivato il nostro tempo,
la nostra fetta di vita.

Ma siamo ritornati nei nostri buchi,
profondi, neri come la morte.

Per scaldare i nostri cuori traditi
abbiamo rubato il magma ai vulcani.

Ma il freddo ha macchiato di sangue
le nostre dita indurite.

2
Se uscito dal tuo guscio senza lo scudo
e le frecce avvelenate.

Il sole brucia la tua pelle di latte.

Non mentire: sei nato per parlare a gran voce,
lontano da ipocrisie malcelate.

I granelli di sabbia lacerano il tuo corpo indifeso,
come schegge di mortaio.

Torna nel tuo labirinto, non sei nato
per creare complotti, commedie con attori
scaduti.

         ( è guerra, ormai).


3

Tra le mura del villaggio,
gli occhi cercano una scena inventata,
una mano da stringere forte

       ( i brividi i una carezza)

Non sei solo.

Ma sembra di vivere l tempo
delle streghe maligne
con gli uomini divenuti ranocchi

    (padroni di un misero stagno).


4

Non aspetto più il giorno,
forse neanche il sole
sorgerà tra le colline.

Quando avete squarciato i ventri
delle vostre madri, non pensavo
a una fuga senza ritorno.

Dieci, centro, mille ventri squarciati.

Sono rimasto solo, con in mano
un coltello luccicante.


5

Ti pensavo incline alla beffa,
con in mano un pugnale di carta.

Sospettavo semplici risate,
l’onesta burla di un clown.

Finito il tempo dei coriandoli
hai rimesso maschere e vestiti
tra i tuoi giochi di sempre.

E ti sei travestito da uomo.

6

Siamo cavalli dal galoppo sfrenato,
gli zoccoli spaccati dai sassi.

Il fiume rallenta la fuga, inumidisce
le piaghe.

Il galoppo diviene folle, il sudore
incrosta le groppe, e il pianto traccia
una strada in salita.

Ma resta solo il nitrito nell’aria,
i cappi attorno al collo, come al tempo
del Far West.



7

Ho lasciato che i tronchi scendessero
a valle.

Il mio cavallo alato è caduto nel fango.

Ma la zattera naviga sul fiume,
nel grido lacerante degli uccelli.



8

I pugni sono sul petto e le bestemmie
nel cuore, vecchio blasfemo tradito
dal fato.

Non urlare al vento i tuoi sogni trafitti,
la terra non ha bisogno del tuo pianto
di ghiaccio.

Sono terminati gli attimi della rivolta,
quando i visi illuminavano la notte.


9

I guerrieri hanno perso le lance.

L’albero è rimasto senza foglie
e solo il pianto dei tronchi denuda
le rocce.

Gli eroi hanno spesso di gridare,
il bosco è covo di fantasmi, ora.

All’alba, gli uomini si alzano eroi,
i petti sono gonfi, ma la sera in agguato
e solo allora compare l’amarezza.


10

Non sono venuto a trovarti
con le manette nascoste.

(Le prigioni non hanno senso per chi
ha avuto come casa stanze sbarrate,
portoni di ferro, mense maleodoranti).

E se ti puzzeranno i piedi non chiedermi
perché manca l’acqua.

E se avrai fame non chiedermi cibo.

Le crepe dei muri, feritoie profonde
che nascondono la verità
  
                 (terrificante).

E i lutti, i corpi senza nome, la terra arsa.

Non chiedermi nulla.


11

Tra misteri  scavati nella notte,
la polvere delle arene fugge lontano,
insegna da uomini in ginocchio.

                 (sconfitti).

Tra le pieghe di armonie cancellate
si nascondono sordide imprese

          (e la disperazione).

E’ salita sulle spalle del tempo,
la infedeltà alla vita.



12

Le barche navigano stanche,
i pesci si rifugiano negli anfratti
delle scogliere amiche.

Le reti trascinano solo se stesse,
come uomini soli, claun senza applausi,
disperati profughi.

A che serve cantare i silenzi della notte?

All’orizzonte si intravedono i bagliori
del giorno, della sua luce accecante

                     (senza vita).



13

Non puoi mentire a te stesso

                (e agli altri).

L’attesa degli eventi lascia tracce
nell’anima.

Ti ritrovi in delirio, con viso riflesso
in uno specchio di niente.




14

La dita sui tasti.

Cosa scriviamo in questo tempo di quiete?

Una storia nuova?

Una favola nuova?

La tentazione di battere con violenza,
coraggio.

La consapevolezza del vuoto.

Cosa scriviamo in questo tempo
di quiete?




15
Non pensarmi a capo in giù nel mezzo
di un campo di grano.

Non farlo.

Quel che mi resta non penzolerà per la gioia
di chi ci vuole a capo chino,
inginocchiati fino allo spasimo

                                    (derisi).

I miei piedi non guarderanno
il cielo stellato, batteranno forte,
con rabbia sulla terra indurita.

Avrò ancora la forza di stringere le tue mani
e cancellare dal viso le mie pene.  



SOLO IL VENTO
1

Hai voglia di correre, gridare,
amare qualcuno, qualcosa.

Hai voglia di creare un momento,
un attimo di vita migliore.

Anche i bimbi vorrebbero,
anche i vecchi vorrebbero,
tutti vorrebbero,

    ( ma nessuno si muove).

Solo il vento ha la forza
di muovere le cose
strapparle dal loro
eterno  torpore.

Tu non sei il vento, la pioggia
che dà vita alle cose, e nemmeno
Il fuoco che distrugge ciò che
la vita la costruito.

Tu sei.


2
E’ una posizione bassa, la mia
       (un’immensa pianura di sassi).

Mi guardano ansiosi gli occhi del paese
                                 (e le ingiurie).

Se venisse il sonno!

Lo abbraccerei come il corpo
della mia donna.

Io cercavo l’amore.

Ma solo acredine intravedo all’orizzonte.




3

Il respiro solleva nell’aria
la polvere di antiche nostalgie.

Scruti il tuo corpo alla ricerca
del sogno.

Sei stanco.

Questa notte non basterà
a mandare vie le lacrime.


4
Tra le colline le case sono forti e robuste.

Sulla terra solo il pianto dei vecchi
parla il linguaggio dei poveri.

Non lasciarmi nel bosco come rovo antico
che teme il freddo della notte

        (con dentro l’ansia dei giorni perduti).

5

Cerco di entrare nella tua carcassa,
vecchio.

E’ buio e stretto il labirinto
delle tue vie interne.

Non è distante la tua saggezza,
i colori delle albe incrociate di grano,
quando i visi cercavano lo sguardo
della terra.

Userò la forza.


6

Hai marciato su  la schiena dura
delle colline, scavano un buco di sangue
sul petto bruno.

Tra le rovine hai cercato un brandello
di vita
           
(l’intenso brivido del tuo corpo di carta).

E le tue trecce, offerte da un gitano
al prezzo di trenta denari.

7
La citta ti accoglie nel suo ventre
                    (sei tornato anzitempo).

Lontano dalle unghiate velenose dei
giorni intrisi di pianto

                      (e di bestemmie).

Il tuo occhio sul mondo, la sua carne.

Anche senza la luce del cielo saprai
scherzare con gli occhi della luna.



8

I capelli neri sfiorano i gins, con il vento
che si diverte a disperderli sui fianchi

Solo ora il burrone appare mostruoso
                             
                             ( al di là dei campi di grano).

E la corsa d’amore si spegne senza un grido,
con il vento che si diverte a stuzzicare i
capelli neri, a coprire gli occhi dilatati d’amore
                               
                             ( e di tristezza).      

9

Sono ritornati i fantasmi di un tempo

 ( e la loro perfida danza).

Non avverto più le carezze dei giorni
privi d’angoscia, quando camminavo
per i marciapiedi della città.

Non è tempo di magiche risurrezioni

          (le croci sono perite tra le fiamme).

Offro le spalle al vento.



10


Non è solitudine, questa.

E’ il silenzio dell’inesistente

                     (l’odore, anche).

Gli uccelli rimasti turbano la quiete

                   ( arida, eterna).

Un ritorno alle origini

       (un lampo abbagliante).

Non è solitudine, questa.




11

Su un cerchio di cemento lasciammo
svanire di nostri gesti d’amore.

La voce, l’urlo anzi, di un compagno maldestro
lacerò i nostri corpi accaldati

        ( una morsa di carne viva).

E la stretta d’amore svanì senza parole,
lasciandosi alle spalle un inquietante
mistero.

Con gli anni, la vita ha riproposto
i suoi veti e noi, impotenti, ci parliamo
con gli occhi.


PAESAGGIO LUNARE

1
Le impronte dei mie passi hanno
Costruito un paesaggio lunare.

Io non amo la luna, i cuoi crateri
di cenere, le sue forme cangianti.

(la tentazione di voltarmi indietro,
 la paura di andare avanti, cadere nel vuoto).

Non voglio pensare. Ho terrore.

        ( Non sarà come a Pompei).

2
Il tetto, i muri graffiati dal tempo,
il silenzio del paese.

Il tetto della fanciullezza cigola
sotto il peso del mio corpo adulto.

La ‘Comune’, il ‘Che’ mi guardano
incuriositi.

La mia barba non confonde
i loro occhi: sanno chi sono.


3

Io non ho attivato alcun congegno
esplosivo.

Non potevo.

La mia vita non ha conosciuto
l’orgasmo della follia.

Sulle strade del mondo i ‘Pilato’
offrono l’ecce homo alla folla.

Molti, troppi, soni corpi disfatti.

4

Un volo, dolce, solitario.

Poi l’atterraggio in un mondo deforme,
sconosciuto: la terra.

I covoni bruciano in fretta e le fiamme
lambiscono le notte come la scure
il legno del bosco.

I granelli di sabbia tremano, anche il mare
trema, ha paura degli uomini,

           (pirati dei fondali più bui).

Anche gli stormi hanno cessato di volare.

 5

Gli occhi stanchi, pietrificati,

Un sorriso folle, quasi.

Non era bello guardare il fiume
insanguinato.

I cani annusano l’acqua

                ( senza sazio).

Auschwtiz…Beirut.       


6

Corriamo assieme al tempo, ora

     (il ritmo, inquietante, dei suoi battiti).

I latrati sono dietro le nostre spalle.

Per questo cerchiamo uno spazio
dove lasciare i nostri sogni.


7

Danzano impazzite le parole,
fluendo per le vie come passi
di uomini in corsa.

Lasciano sui muri scie d’inchiostro
maledetto.

E una cinica carezza sulle mie
mani dipinte d’angoscia.