giovedì 13 febbraio 2014

LA SOLITUDINE DELLO SCRITTORE SAVERIO STRATI ("inAspromonte", n. 6, Febbraio 201, pag.23 ).


Saverio Strati versa in condizioni di salute pessime. Non si fa trovare da nessuno, ha staccato il telefono, non comunica più con l’esterno. Probabilmente la caduta dalle scale (abita  in Toscana, precisamente a Scandicci, al IV piano di un palazzo privo di ascensore), avvenuta tempo addietro, l’ha debilitato  nel fisico e nel morale.
Spiace sapere di questo suo isolamento. Anche se ha quasi novant’anni,  è ancora lucido, ma forse non è più curioso, è depresso. 
Da circa quattro  anni usufruisce della Legge Bacchelli, un sussidio che gli consente di  continuare a vivere dignitosamente. Ma quando arriva la cattiva salute, quando non  si trova più la forza per scrivere, narrare il proprio mondo interiore tutto sembra immerso nell’oblio, non si ha voglia di andare avanti, di sperare nel futuro. Certi stati d’animo non tengono conto di quello che si è fatto in tanti anni di proficuo lavoro intellettuale,  alimentano l’amarezza, allontanano dalla creatività.
Non lo incontro da molto tempo, ormai. Ho avuto la fortuna e il privilegio di confrontarmi con lui quando ancora faceva ritorno a S.Agata del Bianco, suo amato paese natìo, precisamente in contrada Cola.
Incontri che mi hanno fatto capire tante cose, in particolar modo l’urgenza di adoperarsi in difesa della nostra memoria storica, del nostro passato/presente.
Una lezione di vita importante che rammento ancora con riconoscenza.
Ha lottato tanto, Saverio Strati. Da semplice apprendista-muratore è divenuto “glossa” della sua gente, si è  trasformato in cantore del bene e del male del Meridione, non facendo sconti a nessuno, nemmeno a se stesso. Narra dal di dentro, conosce profondamente, infatti, la materia della sua scrittura, il suo stile cesella le forme della civiltà contadina, ne delinea le fattezze più remote, ne sollecita la  vera conoscenza. E’ tanto grande e appassionato il suo amore per i poveri, i diseredati al punto da estremizzare al massimo il suo linguaggio, il suo stile iper-realista. E’ proprio tutto vero quello che narra Strati, spesso anche i nomi, le contrade. La sua mente conserva una galassia sterminata di personaggi, le vicende familiari, gli esiti di una semina, i tomoli di grano prodotti, le cattive annate dovute alla siccità o qualche improvvida alluvione.  Un amore viscerale profondo, quasi una ossessione implacabile. In quasi tutti i suoi romanzi, però, Strati denuncia il nostro cattivo modo di essere, la nostra cattiva voglia di migliorare le sorti socio-economiche della nostra terra. Prima di fermarsi a Scandicci, egli ha conosciuto altre nazioni (Germania, Svizzera), altre usanze. Ha fotografato realtà in crescita, rispettose delle regole, attaccate alle loro identità. per questo, specie in “Noi Lazzaroni( Mondadori, 1972), “Il diavolaro” ( Mondadori, 1980), “Il selvaggio di Santa Venere”, Mondadori, Premio Campiello, 1977), egli esprime rabbia per il lassismo  della sua gente, per la imperante rassegnazione che anima il popolo calabrese. Sono pagine  di profonda denuncia sociale, costringono alla riflessione, fanno arrossire anche le menti più recalcitranti, specie quando lo scrittore indica le soluzioni per un riscatto non impossibile. “Quando mi trovo a S.Agata e guardo dall’alto verso il mare sento l’animo che mi si apre; se invece osservo ciò che mi circonda, se entro nelle case del paese,  la sensazione è terribile. Mi prende un’angoscia davvero infernale. Non è sufficiente guardare le cose dall’esterno, come ha fatto Carlo levi per la Lucania: il vero dramma è guardarle quelle cose, quelle situazioni dal di dentro[…] Altro che Calabria pittoresca, altro che odori, colori, silenzi poetici!…”.
Sono “arrabbiature” sincere, non vogliono accusare nessuno, tendono a spronare chi è immerso nel fatalismo, quanti non vogliono lottare contro lo status quo. Mentre il mondo cambia, si evolve, il meridione appare pietrificato. Mentre in altri lidi è giunta la primavera, nel Sud regna un inverno fitto, un modello sociale che intende perpetrare le antiche regole. “C’è sempre stato in Calabria uno spirito feroce di autodistruzione; la storia stessa della nostra regione ha questa terribile impronta [… ] il calabrese è terribilmente geloso: guai se un altro fa un passo più avanti di lui[....] anche il paesaggio risente di questa indifferenza […]”. Strati  (è possibile immaginare la sua profonda amarezza) di certo si sarà molte volte sentito sconfitto, avrà pensato che le sue opere non siano servite ad aiutare il suo popolo. Così non è stato, per fortuna. Ma l’amarezza (quella che angustia l’animo ed il cuore) di certo l’ha debilitato nel fisico e nel morale. La speranza è che Strati torni a parlare alla sua gente e al mondo, che continui a battere, con forza creativa, sui tasti della sua vecchia macchina per scrivere.

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