giovedì 27 febbraio 2014

IL NEO-BULLISMO ("L'Ora della Calabria", martedì 25 febbraio 2014, pag.30).



E’ chiaro che il neo-bullisno è alimentato anche dalle forti sollecitazioni del web, della rete, insomma. L’importante (vedi- a esempio- la violenza subìta da una giovane studentessa di Bollate ad opera di una sua coetanea  tra l’indifferenza dei compagni presenti impegnati a  filmare  passivamente la grave aggressione) è che tutto corra sul filo invisibile del web, dove le informazioni  prendono strade multiformi.

Una gigantesca mole di notizie tambureggia la mente degli utenti, una moltitudine senza fine vittima di un presente connesso a un mondo sempre più virtuale e molto meno vivo e concreto. Fa pena e anche tanta paura questo imperante modus vivendi improntato su una vita pensata ma non vissuta.
Le neo-emozioni non hanno dietro un tempo normale. Si è immersi nel solo presente, non si ha memoria del passato, tutto è  stato sempre cosi, il mondo non è il risultato di un processo storico  lento quanto faticoso, la vita sembra essere stata cosi, le sue fattezze non sono mai state immerse nella storia,   cosicché il linguaggio dei padri non produce alcuna eco in questo perenne presente-assente.
Il cuore subisce accelerazioni improvvise quando il telefonino rimane muto, non squilla in una qualsiasi ora del giorno e  della notte, non scandisce il trascorrere del tempo.
La vita è dettata dall’esterno, il nostro mondo interiore è stato formattato e la nostra mente-hard disk è governata da moderni software che aggiornano in tempo reale le nostre coscienze di quanto avviene nel mondo globalizzato.
Sappiamo di alluvioni, incendi, colpi di stato, scontri sanguinosi per una partita di calcio.
Cosicché tutto si trasforma in un film  la cui visione diviene pericolosamente perpetua.
Per questo motivo ho pensato alla trama di un mio possibile  racconto: una sorta di viaggio dentro il mondo dei computer.
La storia è questa. Stefano, anni trenta, con una spiccata vocazione letteraria, spinto dalla necessità morbosa di apprendere i sistemi che stanno alla base del mondo dell’informatica, smette di scrivere.
Passano gli anni, Stefano ha acquisito molte conoscenze su tale mondo, ne comprende la natura e le sofisticatissime tecniche.
E’ uno scavo, il suo, dentro le pieghe meno di un neo-linguaggio che, alla fine, s’impossessa della sua mente: ormai profondamente svuotata, incapace di sollecitargli il dono della scrittura.
Il computer  (la rete, in particolare) si è trasformato in interlocutore umano, una sorta di compagno segreto.
Il giovane  ha sacrificato tutti i suoi risparmi per l’acquisto di prodotti tecnologici di ultima generazione in grado di farlo entrare nei meandri fascinosi della “realtà virtuale, una realtà quasi perfetta, anche se simulata.
Ha smesso di amare la sua ragazza. Ama morbosamente Open, il programma che simula orgasmi proibiti, le forme di ragazze dai corpi giunonici che, all’occorrenza, inscenano strane danze tribali, riti sessuali che richiamano motivi esotici. Ha pure smesso di sognare.
E’ il computer a sognare per lui, trasmettendo alla sua lacerata coscienza immagini sempre più ipnotiche.
Specie nei giorni di crisi, s’accanisce a modificare i FILE dell’HARD DISK, brandello dopo brandello, come se si trattasse di carne lacerata, di materia viva.
No, l’idea non mi piace, mi lascia una grande amarezza dentro.  E’ un essere disumano, Stefano.
Mi viene difficile pensare che il suo futuro possa essere deciso da una tecnologia così devastante. Non si tratta di proporre modelli umani di tipo elegiaco, le forme di una civiltà, quella contadina, ormai inghiottita dal cosiddetto progresso.
E’ che l’uomo non è più al centro delle vicende, non è più il punto d’arrivo  degli attuali progetti di sviluppo scientifico. Nella fase dell’Umanesimo, invece, l’uomo celebra se stesso per mezzo dell’arte.
Non è difficile immaginare le botteghe fiorentine di quel periodo, comprendere l’ansia intellettuale che dominava uomini protesi a costruire modelli di inimitabile bellezza creativa.
Si tratta di capire, però, che da una realtà vissuta e progettata dall’uomo per l’uomo, siamo approdati ad una realtà simulata (la realtà della realtà), col rischio che tutti noi si diventi ubriachi già di primo mattino, sorpresi (come il Gregor Samsa kafkiano?) dal dubbio che immagini a più dimensioni si fisseranno nelle nostre coscienze tradite, ormai incapaci di percepire ciò che un tempo era “certo” e “vero”.                                         
Sarà mai possibile riavvolgere il nastro, riprenderci un po’ di vita vera? Non lo so.
So di certo che cosi facendo andremo a sbattere contro il muro dell’indifferenza, la stessa di cui tanto parla Papa Francesco.
E non sarà facile riconquistare i valori di un tempo quando il cuore umano e la fantasia imperavano.
Non si tratta di pessimismo fine a se stesso.
E’ che non si può accettare che la solitudine divenga la sola certezza umana cui oggi è possibile aspirare.
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