giovedì 15 agosto 2013

L’OTTANTESIMO COMPLEANNO DELLO SCRITTORE SAVERIO STRATI (S.AGATA DEL BIANCO, 16/08/1924)


LA SUA ARTE E’ LA TESTIMONIANZA DI UN IMPEGNO LETTERARIO CHE AFFONDA LE RADICI IN UN MERIDIONALISMO   PRIVO DELLE  ANTICHE SCORIE A SFONDO POPULISTISTICO

                                           di Vincenzo Stranieri

Quando Saverio Strati tornava nella sua S.Agata con una certa regolarità, nella casa della mitica contrada Cola da dove ha avuto inizio il suo importante viaggio letterario, ero ancora troppo giovane per capire appieno l’importanza della sua opera. Nelle nostre brevi chiacchierate (anni ’70), mi colpivano particolarmente due cose: la rabbia positiva che animava la sua arte, l’amarezza, profonda, dello scrittore per la gelosia, la totale mancanza di solidarietà e di spirito di aggregazione, che stavano alla base dell’arretratezza culturale ed economica della Calabria. 

“C’è sempre stato in Calabria uno spirito feroce di auto distruzione; la storia stessa della nostra regione ha questa terribile impronta”. La stessa gelosia, o ignoranza, che ha impedito, nel 1977, quando gli è stato assegnato il premio letterario  Campiello per il romanzo  “Il Selvaggio di Santa Venere”, alla gente del suo paese di esprimergli  un augurio,  un semplice gesto capace di testimoniare l’orgoglio nei confronti del “compaesano” riconosciuto ancora una volta scrittore valente, testimone e prodotto  di una terra sì periferica e marginale , ma che, grazie anche ai suoi libri, poteva cominciare anch’essa il suo viaggio verso la cultura e dunque verso quel   riscatto socio- culturale agognato da secoli.
Da qui l’indignazione ed il  rammarico dello scrittore. Difatti, l’indifferenza della sua gente, l’ennesima, confermava che “il calabrese è terribilmente geloso: guai se un altro fa un passo più avanti di lui.. “anche il paesaggio risente di questa indifferenza… anche “la natura calabrese appare selvaggia: ha una sua bellezza nella desolazione, ma è desolata, appunto, abbandonata a se stessa; dà una sensazione  di sfascio che é dell’”uomo e non della natura”.
Insisto su questo aspetto, non per stigmatizzare una frapposizione che, di fatto, non esiste, tra Strati e la sua terra d’origine;  tutto è nelle cose e negli atteggiamenti, a parlare e a scrivere è stato/è solo Strati, la sua terra possiede ed esprime il linguaggio dell’indifferenza, e forse per questo, o anche per altro, “Quando mi trovo a S.Agata e guardo dall’alto verso il mare sento l’animo che mi si apre; se invece osservo ciò che mi circonda, se entro nelle case del paese, la sensazione è terribile. Mi prende un’angoscia davvero infernale. Non è sufficiente guardare le cose dall’esterno, come ha fatto Carlo levi per la Lucania: il vero dramma è guardarle quelle cose, quelle situazioni dal di dentro… Altro che Calabria pittoresca, altro che odori, colori, silenzi poetici".
Ciononostante, Strati non è mai lontano dalla Calabria: “La nostra terra con la sua gente è costantemente presente dentro la mia mente è la mia fantasia; in “Noi lazzaroni” il protagonista si dice, mentre si trova a camminare per le linde strade di Zurigo: -Vai o non vai al Sud, il Sud ti è dentro come una maledizione”- “ Chi come me per i primi 25 anni della sua vita non si è mai mosso dalla sua terra non può certo dimenticare ciò che ha imparato nell’infanzia”, nell’adolescenza, nella prima giovinezza”- “Questo mondo mi è dentro: potrei non ritornare mai più in Calabria (ciò, per motivi di salute, da un po’ di tempo è purtroppo accaduto) ma scriverei sempre della Calabria, che è presente dentro di me come il mio stesso sangue, come la terra della mia formazione..”.
A quest’uomo tenacemente fedele alla sua natura di scrittore che conosce dal di dentro i problemi secolari del meridione, dobbiamo un impegno vero quanto irrinunciabile: quello, attraverso azioni concrete sul piano dell’iniziative culturali, di esaudire un suo giusto desiderio. “ Vorrei essere letto soprattutto dai giovani, dai ragazzi che vanno alle scuole e all’Università, perché io cerco di esprimere le loro storie, i loro sentimenti, i desideri, i loro drammi psicologici e sociali. Se i ragazzi mi leggessero forse capirebbero se stessi e cercherebbero di essere più sensibili ai problemi del loro ambiente. Ma indirizzo i miei romanzi anche agli operai e ai lavoratori: insomma a gente capace, impegnata in qualche cosa. Vorrei che lo sforzo morale da me compiuto  nei miei libri venisse conosciuto dai ragazzi più sani e dagli operai, da quelli che veramente tirano su il Paese”.
Non è poi così difficile esaudire un così onesto desiderio. Le scuole, i comuni, la regione, la provincia, l’università e l’editoria calabresi possono oggi fare molto in tal senso. Si tratta, infine, di evitare allo scrittore nato a S.Agata del Bianco il 16 agosto 1920, ma da circa trent’anni residente a Scandicci, nel cuore della Toscana, di continuare a scrivere romanzi con ancora protagonisti senza speranza.
Tutto ciò si può fare. Forse siamo ancora in tempo.



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